I tempi della metamorfosi
La metamorfosi è qualcosa di immediato e improvviso solo quando ti chiami Gregor Samsa.
Ciao, questa è Masafuera, cose belle da portare lontano.
Tutte le volte che sono stata ben lontana dall'essere vicina al cambiamento mi sono sempre coccolata nell'immagine di una metamorfosi improvvisa. Il più delle volte ho fatto questi pensieri a letto, prima di dormire. Molte di queste scene risalgono a un periodo lontano, adolescenziale e intriso di una tenerezza che mi spezza il cuore: l'immagine di una ragazza in una camera in un paesino di provincia che prima di dormire fantastica su quanto sarebbe bello se in un giorno solo tutto cambiasse. Se domani mi svegliassi piena di soldi, potrei imparare a suonare il violoncello, mi sono detta qualche volta. Se domani mi svegliassi magra, quell'Alessandro che mi piace potrebbe notarmi, mi sono detta per tutti i tre anni delle medie. Poi è cambiato il nome ma è rimasta la sostanza del desiderio. Se domani mi svegliassi altrove e in un altro presente, tutto sarebbe più facile.
La metamorfosi è qualcosa di immediato e improvviso solo quando ti chiami Gregor Samsa, penso. Se la prima volta che ho letto La metamorfosi ho pensato alla tragicità di quel cambiamento improvviso, a distanza di anni una parte di me invidia quell'immediatezza, nel bene e nel male. Ogni tanto sono riuscita anche a sorridere pensando a un uomo che si sveglia con le sembianze di una blatta, uno scarafaggio, un imprecisato insetto, e la sua integrità e dedizione gli fa pensare per prima cosa ad arrivare comunque in orario a lavoro. Ma ormai la prima cosa che penso se rileggo le prime pagine del libro è: beato lui.
Ho iniziato a scrivere questa cosa tra Gennaio e Febbraio, quando senza rendermene conto una miccia è scattata dentro di me e ha innescato una serie di cambiamenti ancora in atto. Forse più o meno volontariamente ho continuato ad abbandonarla fino a questo momento: un po' per stare nel cambiamento e non parlarne e basta, e un po' perché temevo che fermandomi ad osservarla la miccia si potesse spegnere. Nello stesso periodo in cui ho iniziato a pensare a questo agglomerato di parole mi sono iscritta in piscina: ne ho scelta una piccola, piena di anziani e bambini, abbastanza modesta da non attirare troppe persone della mia età. Non sono mai stata un animale acquatico, non lo sono nemmeno adesso che scrivo dal mare dove mi aggiro con cautela nei punti in cui non tocco e soprattutto non vedo; a spingermi verso l'acqua è stato un libro letto l'anno scorso, Perché nuotiamo? di Bonnie Tsui, un libro che racconta come l'acqua possa cambiarci fisicamente – e ogni tanto anche geneticamente – ma anche diventare la nostra terraferma, la nostra cultura e la nostra più grande ambizione, nonostante il manto pericoloso da cui sarà sempre coperta. Se devo cambiare, mi sono detta, voglio farlo sott'acqua, nascosta e libera.
Come gran parte delle persone – immagino – odio le prime volte, in particolare odio: primi appuntamenti, esami e colloqui, primi giorni di lavoro, e primi giorni in qualsiasi ambiente sportivo. Per quanto tu possa prepararti alla grande novità e alla routine che ti aspetta, ci sarà impaccio, ci saranno sguardi e ci saranno errori e cose ovvie dimenticate a casa. Il primo giorno di piscina ho dimenticato le seguenti cose: intimo di ricambio, pettine e crema idratante. Tutte cose abbastanza ovvie quando frequenti la piscina, io però ero uscita con il costume addosso per evitare l'imbarazzo di cambiarmi lì dimenticando tutto quello che succede dopo essersi tuffati e gli effetti del cloro sulla pelle.
Se faccio mente locale e ripenso alle piccole o grandi metamorfosi della mia vita – avvenuto o auspicate – il sentimento che riaffiora per primo è la frustrazione durante: proseguire lungo un percorso che sembrava infinito e inutile, senza prove tangibili del cambiamento che qualcuno ti prometteva alla fine. Lo stesso struggimento che provavo quando ero obbligata ad avere a che fare con Metapod per ottenere Butterfly: quanto ci metteva? A cosa mi serviva? Perché gli altri sono già splendide farfalle e io mi sento un perenne baco?
La piscina è dentro una grande stanza rettangolare quasi interamente occupata dalla vasca stessa, credo di venticinque metri al massimo. Il bordo piscina è alquanto stretto e costellato di scaffali con pinne, tubi galleggianti e tavolette, panchine sulle quali appoggiare il proprio accappatoio e soprattutto diversi fogli A4 plastificati che invitano a non correre con su scritto okkio: dopo tutti questi mesi questa rimane la mia cosa preferita.
Cambiare è quasi sempre sinonimo di prendere nota del cambiamento. Esistono strumenti per annotare i progressi di qualsiasi cosa: lo so perché penso di averli provati tutti. Che sia il numero film visti per finire l'anno e potersi dire cinefili (Letterboxd, che ho), che sia il numero di libri letti probabilmente condensati nelle uniche settimane di ferie in mezzo a mesi di magra e astinenza (Goodreads, che ho), esistono siti, app, evoluzioni di diari e journal qualsiasi sia l'abitudine che una persona sente il bisogno di migliorare. Così strutturate e ricche di dettagli e feature da diventare a loro volta un'abitudine da dover affinare: negli anni ho provato a creare il Notion perfetto per una nuova versione di me stessa o scrivere su un'app quante volte avessi bevuto, fatto skincare, fatto allenamento, mangiato sano e tutto diventava più faticoso delle attività stesse. In qualche modo però, abbiamo sempre bisogno di un segno sul muro, una traccia che qualcosa stia avvenendo ora dopo ora, giorno dopo giorno, propositi passati e futuri.
A Gennaio ho tolto le app per provare a contare i numeri di bicchieri bevuti in un giorno, ho lasciato perdere Notion, non ho fatto buoni propositi e sono andata a nuotare. Senza corsi, istruttori e lezioni da seguire, volevo solo entrare in acqua e muovermi più intensamente possibile al punto da stravolgere il mio corpo. In acqua la metamorfosi è tangibile, sensoriale. Un minuto prima sei asciutta, nello spogliatoio asfissiante di una minuscola piscina di quartiere e ti sei dimenticata qualcosa, al punto da voler tornare indietro; l'attimo dopo sei immersa, bagnata e costretta a muovere i piedi vorticosamente per rimanere a galla. Lo stato liquido è un'ottima costrizione al cambiamento che desideri vedere: ormai sei bagnato, tanto vale nuotare per un'ora, avanti e indietro, inserendoti in un cerchio immaginario fatto da te e altre persone che silenziosamente non faranno altro.
Le cattive abitudini faticano a morire (quelle nuove, a quanto pare, hanno bisogno in media di 66 giorni per insediarsi) così ho comunque fatto una cartella sul mio telefono, intitolata Il mio anno. Mi fotografo quasi ogni volta che vado in piscina: prima, per tenere traccia del corpo che cambia; dopo, perché mi piace il segno degli occhialini sul viso; durante, quando riesco a fotografare il cartello con scritto okkio. Il desiderio di tracciare il cambiamento che voglio vedere torna: devo vedere che quello che sto facendo mi sta cambiando, devo avere il materiale per un prima e dopo che non riesco a percepire. Cosa più tangibile di una foto di un corpo? La risposta immagino sia un corpo e basta.
Senza che potesse essere tracciato, il corpo ha iniziato a cambiare. Non solo nell'aspetto, nell'immagine che mi rendeva davanti allo specchio, bensì nelle cose che iniziava a fare. Prima di Gennaio non sapevo andare sott'acqua senza tapparmi il naso con le dita, cosa che nonostante non sia una nuotatrice so non essere pratico ai fini del nuoto. Ho iniziato osservando le persone accanto a me. Senza farmi notare, senza risultare invadente, appoggiata a inizio vasca mentre mi sistemavo gli occhialini e la cuffia o mentre nuotavo con la tavoletta per provare a scoprire il mio stesso ritmo nel movimento delle gambe. Osservavo i respiri farsi maestosi e le narici allargarsi un attimo prima di scendere sotto la superficie dell'acqua. Provavo a fare lo stesso e capivo il trucco, un attimo dopo sbagliavo e riemergevo strizzandomi le narici soffiando via l'acqua. Mi sentivo come se dovessi ordinare del cibo in un paese con una lingua sconosciuta e inimmaginabile, dove l'unico modo per ottenere qualcosa era imitare, mimetizzarsi seguendo i gesti di qualcun altro.
Per quanto minuscolo e impercettibile, impossibile da incasellare dentro una to do list o una traccia precompilata di come dovrebbe avvenire una metamorfosi, mi sentivo costantemente sfiorata da novità legata al mio stesso corpo, come le alghe che ti sfiorano i polpacci quando sei al mare. Non era un drastico cambio della mia immagine in una fotografia, non era un vestito che non mi stava più e ora mi entra senza fatica. Erano frammenti di novità che non avevo preventivato, o che di solito non sono contemplati da nessuno, che si tratti del nostro cambiamento o di quello altrui.
Ho scelto di nuotare anche perché non mi dava l'idea di essere uno sport con grandi momenti di socialità. La maggior parte del tempo sei sott'acqua e devi concentrarti a respirare e non bere acqua; il resto del tempo sei nuda in mezzo ad altrettante persone nude che tentano di asciugarsi e rivestirsi in uno spazio che ha la stessa concentrazione di umidità di una sauna all'Inferno. Nonostante ciò un giorno incrocio lo sguardo con una signora che fa i miei stessi orari, finendo così per vederci spesso dentro la vasca. In un momento di pausa appoggiate al bordo della piscina iniziamo a scambiare qualche parola: oggi non c'è molta gente, è per questo che mi piace la domenica, non ti consiglio di venire la sera perché ci sono solo quelli che nuotano forte, e altre cose di questo tipo. Era Aprile, io iniziavo ad entusiasmarmi per i primi chili persi e per le nuove capacità che mano a mano scoprivo di saper fare, quindi quando mi chiede da quanto nuotassi e perché le rispondo felice, timidamente orgogliosa.
– Io vengo per rilassarmi, per dimagrire ho preso l'Ozempic, comodissimo – mi dice prima ancora di dirmi il suo nome, che tutt'ora non so.
– Ma dai – rispondo sorridendo quasi presa da un automatismo, lasciandole lo spazio per continuare a parlarne.
– Ti serve la ricetta, però in Piazza Cinque Giornate te lo danno senza. Duecento euro, però comodo, ho perso venti chili io – continua euforica.
Rispondo con qualche intercalare e riempitivo per farla sentire assecondata, mentre continua a dirmi che lo ha dato anche alle figlie: una delle due ha accettato di prenderlo e ora quel vestito che le stringeva le sta benissimo; l'altra figlia, quella più scettica, si è rifiutata. Per differenziarle quest'ultima la chiamava la cicciottella, e lo diceva con una punta di punizione, come a dire: se non volevi ti chiamassi così, mi ascoltavi e prendevi l'Ozempic.
Mentre mi parla la immagino nella sua casa, che da un giorno all'altro ha perso venti chili e si aggira per le stanze dentro un nuovo guscio improvviso. Per un attimo vedo accanto a me Gregor Samsa, con occhialini e cuffia stretti sul suo cranio d'insetto, muovere le zampette in acqua mentre decanta il suo cambiamento.
– Finché li perdo da sola sto bene, ma grazie lo stesso – dico alla signora Samsa, e mi rimetto a nuotare.
Se sei arrivato fino a qui meriti una lista di cose belle da portare lontano, mantra di questo spazio.
💌 Altri libri ai quali ho pensato mentre scrivevo questa cosa: i due romanzi di Elif Batuman, L'idiota e Aut Aut, dove alla fine osserviamo questa lentissima e pacata trasformazione che è la vita di Selin e La cronologia dell'acqua, altro meraviglioso libro dove l'acqua è qualcosa di più di Lidia Yuknavitch
💌 Una fanzine su Milano che voglio davvero leggere è HUNGERBUNNY di Giovanni Pigliacelli
💌 Lo sai che in Giappone esistono delle discipline sportive acquatiche che prevedono l'utilizzo dell'armatura dei samurai? È tutto vero.
💌 Qualcosa che non cambierà mai è il nostro amore per Sofia Coppola: per Il Saggiatore esce Sofia Coppola: Forever Young di Hannah Strong. Ovviamente lo bramo e lo desidero e il mio compleanno fyi è a breve
💌 Durante le ferie ho tolto le app dei social e ho letto qualche libro bello bello, ne ho parlato un po' qui
💌 Il tuo nuovo gioco preferito: Ogu e la foresta segreta (disponibile su pc e da mobile.
Chi è Ogu? Lui:
Ci risentiamo alla prossima Masafuera, tu cambia con calma.
Elisa
Non mi piace scrivere cose "pubbliche", mi vergogno un po', quindi sarò breve.
E' stato bello leggere questo appuntamento di Masafuera, intimo e pacato.
Grazie
"tu cambia con calma"
Mi ha commosso.
Grazie