I miei nuovi ultimi quindici anni
Sono sempre stata una grande fanatica delle coincidenze. È un'osservazione del tempo che oltrepassa i classici buoni propositi o le somme che tiro quando arriva il mio compleanno, sembra quasi una fede cieca per i sincronismi tra due avvenimenti: la stessa strada percorsa a distanza di tempo — chi ero e chi sono oggi? — una similitudine tra due scene che coinvolgono la stessa persona — come ti ho conosciuto e come ti ho detto addio? — o il ritorno di un giorno che fra tutti i numeri infiniti decide di tornare in più occasioni, identiche e dissimili.
Qualche giorno fa sono andata al concerto dei miei quindici anni. Ora di anni non ne ho più quindici ma esattamente il doppio che a quanto pare fa trenta. I discorsi intorno a questo numero mi appaiono sempre come fossilizzati: i trentenni rimpiangono, i trentenni si accorgono di non essere ventenni, i trentenni fanno ironia su loro stessi al punto che non sembrano più solo trentenni ma più vecchi ancora. A me questa cifra appare come un costrutto bello e buono dove mi sento ingenua come sempre, precaria come una ventenne e cagionevole come una sessantenne: il cartonato di una scenografia mediocre che vuole convincerti di essere ciò che non è davvero.
A quindici anni andai al concerto di un gruppo emo punk di Chicago di cui ero innamorata come solo a quindici anni sappiamo amare. Poi pian piano non amiamo mai più così, per quanto ci impegniamo strattoniamo quella fanciullezza tra il passato e la vita e lentamente la vita o chi per lei (le esperienze, la terapia, il cinismo) hanno la meglio e quell'infatuazione micidiale diventa calore a intermittenza. Al tempo però ero ancora intensa e amavo questo gruppo di Chicago: le mie fonti — il giovane Internet o la geografia — mi dicevano che Chicago si trovava al centro degli Stati Uniti, a mio dire nel nulla, proprio come era per me casa mia, tra risaie e inquinamento.
Oltre a questo gemellaggio immaginario a colpirmi fu l'ondata di quel magma culturale e musicale pieno di ramificazioni che nella mia ignoranza semplifico chiamando emo: mi bastò una canzone su MTV, occhi infossati cerchiati di matita nera, mistero tenero e testi che per anni ho sperato qualcuno prima o poi mi dedicasse — mai accaduto — e mi ossessionai con intensità e gioia. Tra le tante cose che durante i quindici anni succedono o facciamo, di buono c'è che non abbiamo ancora iniziato a chiamare i piacere guilty e forse per questo tutto è assorbito visceralmente, senza perdere un dettaglio. Di questo gruppo inglobai tutto: il paese di nascita, il segno zodiacale, i side projects, il significato di canzoni e tatuaggi, le parti del corpo finite in rete quando ancora forse i nudes non si chiamavano così.
Nel pieno di questo fiume di devozione — i quindici anni, se non si fosse capito — questo gruppo decise di venire a Milano a quello che un tempo era il Palatrussardi, poi Palavobis, Palasharp e poi più niente, solo un ricordo di ragazzina felice. Era il mio primo concerto, accanto a me un ragazzo molto alto vomitò in testa a una ragazzina e a fine serata trovai una scarpa. Del resto non ricordo altro, solo di esserci stata, di essere stata felice anche se qualcosa che qui sarà omesso inquinò la memoria.
Mi piace quel che si dice sul fatto che siamo adulti quando possiamo permetterci di regalarci quello che da piccoli non abbiamo avuto o abbiamo perso. Ci credo molto, a questo tornare indietro, chiudere un cerchio con un dono. Per questo motivo qualche giorno fa sono tornata al mio concerto da quindicenne. Il Palasharp non esiste più, è abbandonato a se stesso a Lampugnano sperando un giorno di essere riqualificato e nel frattempo marcisce intriso di ricordi, vomito di ragazzi molto alti e scarpe perdute.
Entrando al Forum mi sembrava tutto fermo al 2009: ragazzi vestiti solo di nero, solo con abiti skinny e capelli disperati, la tensione di chi corre per essere più vicino possibile, per vedere, farsi vedere, assimilare come la più porosa delle pietre tutta la serata. Io ho passeggiato serena come chi non ha fretta, un sorrisino superbo mi si è dipinto in faccia, la faccia da cazzo di chi pensa di essere andata oltre, di non essere più adolescente, con le New Balance ai piedi perché le Vans ormai per i concerti sono solo per i folli, senza il bisogno di sforzarsi. Guardandomi attorno osservavo i trentenni come me. Non proprio come me, molti di loro erano stempiati. Ma eravamo simili nel fare tante foto, per sopperire alla mancanza di ricordi fotografici adolescenziali. Di quel primo concerto da quindicenne non mi era rimasto nulla se non il ricordo rimaneggiato negli anni come una tradizione orale da non perdere. Non mi è rimasta memoria scritta di quando chiesi a un’amica di insegnarmi a suonare il basso o una fotografia di quando me lo costruì di cartone per continuare a esercitarmi a casa. Non mi è rimasta una sola foto, persa per sempre dentro quel profilo Facebook rubato. Perso per sempre anche il blog di MSN, dove scrivevo in comic sans bordeaux traducendo i testi, immaginandomi un giorno lontana in quella Lomellina statunitense che pensavo fosse Chicago.
Ho tirato fuori il telefono e ho scattato: qualche foto per me, qualche video sulle canzoni più famose da inviare a mio fratello che per osmosi ha iniziato ad ascoltarli. Più immagazzinavo ricordi più mi emozionavo, forse qualche saltello — al sicuro nella mia comode sneakers da grande — l'ho pure fatto. Più ascoltavo e riempivo la mia galleria più tornavo indietro. Gli avvenimenti iniziavano a sovrapporsi: qualcuno ha vomitato sulla testa di una ragazza o non è mai successo? Sono già stata in questo momento felice anche se non ne ho memoria? Di chi è la scarpa che ho ritrovato? Per caso il bassista mi ha sorriso mentre cantavo quella vecchia canzone che nessuno conosceva?
Ero tornata indietro per sanare il ricordo di una ragazza spezzata, che in quel gruppo emo punk aveva incanalato l’attenzione di chi non vuole guardare quello che c’è attorno. Ero tornata per salvare e mi sono trasformata in quella ragazza che, ancora oggi, in un lampo del passato che la sfiora appena spera che Pete Wentz, footprint di ogni amore, la noti in mezzo al buio tra la folla.
Ciao, se sei arrivatə fino a qui: congratulazioni. Questa volta Masafuera era qualcosa di intimo e tutto mio che avevo però bisogno di annotare qualcosa. Magari ti ha fatto venir voglia di tornare a una passione del tuo passione e darle valore, renderle onore.
Se è successo: bene.
Altrimenti hai reso onore alla mia di passione lontana.
Come al solito torno talmente tanto dal nulla che mi sembra doveroso lasciarti con un regalo e dunque:
📚 Qualche libro che ho letto e qualche libro che leggerò 📚
Perché nuotiamo, Bonnie Tsui
Centomilioni, Marta Cai
Finito, fai il bravə.