Ciao e bentornatx a Masafuera, un progetto a cadenza mensile che si divide tra podcast e newsletter, un contenitore di cose da portare in un posto lontano.
Siccome il tempo è relativo la cadenza mensile si è dilatata e sono passati quasi praticamente due mesi. Succede, è estate, fa troppo caldo pure per pensare, figurati per scrivere. In realtà questo silenzio è parte della Masafuera stessa di questo mese. Sai quando dopo un periodo di ossessioni, distrazioni e tenerti costantemente distratto e pienx di cose hai bisogno di silenzio? Ecco, la mia estate ha provato ad essere così, un isolamento silenzioso.
Al primo anno di università ho imparato una parola — sono vittima del fascino delle piccole cose quando ne stai studiando altre più grandi — che mi piace molto: stavo seguendo un monografico sull’architettura degli ordini monastici e ho scoperto un sinonimo di isolamento e clausura, che è anacoresi. Una parola bellissima, che mi sembra una forma di isolamento più delicata, più “positiva”. Alla fine anche questo posto virtuale è una forma di anacoresi, prende il nome da un’isola mica per niente.
Il giorno prima di partire per le mie piccole vacanze estive mi sono accorta che stavo andando a rintanarmi su un’isola e la cosa mi ha fatto sorridere. Altra cosa di cui sono vittima, i fili rossi che legano queste cose minuscole: io (il mio cognome è il nome di un’isola) con una newsletter che ha il nome di un’isola che voglio parlare di isolamento mentre sono in vacanza su un’isola. gif di riferimento qui
Non ero mai stata su un’isola piccola come Capri. Fino al giorno prima di partire sinceramente neanche avevo mai geolocalizzato Capri, chi mai aveva pensato di poterci andare? Non io, e la sera prima della partenza ero su Maps e constatare che è vicinissima a Napoli, alla tanto odiata Ischia (odiata dopo aver letto la tetralogia di Elena Ferrante e per nessun altro motivo, solo del buon ninosarattoreshaming). Una volta scesa dal traghetto insieme alle mie amiche mi sono resa conto della sua dimensione. Le isole non sono tutte uguali, ce ne sono alcune così vaste che non ne percepisci i bordi, altre, come Capri, dove da una parte all’altra poi scorgerne la fine, il mare e poi di nuovo l’inizio di un’altra costa. Questa cosa mi ha emozionata moltissimo: essere in un posto così piccolo, raccolto, percepirsi in un lembo di terra ridotto.
L’isolamento è un mondo stratificato: a me è capitato spesso di avvicinarmici, per prendermi del tempo e recuperare lavoro in arretrato da fare su me stessa, per mettere in pausa input esterni che non sapevo gestire e che non potevo controllare. Nell’ultimo anno l’isolamento è diventato una gabbia, lo speciale Inside di Bo Burnham ne parla molto bene, ho provato a scriverne per La Cinefila della domenica. Ironicamente, nel momento in cui tutto è ricominciato a muoversi e tuttx uscivano esploravano e si muovevano, osservare il tutto attraverso il telefono mi ha fatto venir ancora più voglia di staccare e così ho fatto. Staccare dai social ormai è una danza che facciamo tuttx, qualche volta. Disinstalli l’app, magari per un periodo controlli solo le notifiche essenziali dal pc, poi ti rendi conto che non ti manca niente di preciso, continui. Poi ritorni, ricomincia questo balletto virtuale. Mi piace l’idea di partire senza lasciare tracce, tracce che poi inevitabilmente ho lasciato perché la voglia di immortalare i momenti con le mie amiche era più grande della voglia di distacco. Anche perché poi fisicamente, visceralmente, starmene su un pezzo di terra abbastanza ridotto da vederne i confini ha coronato il mio bisogno di clausura estiva.
Ritornando a casa mi sono chiesta più volte com’è vivere su’isola, come si percepisce l’isolamento lì, quanto ci si sente distantx dal resto — quanto bene fa, se fa bene — e altre cose che ho deciso di far raccontare a un’ospite speciale. D’ora in poi ogni tanto quest’isola potrebbe ospitare qualche voce amica; la prima persona invitata su questa spiaggia è Marina Vuotto, tra le tante cose che potrei dire per descriverla dirò: esperta di cinema, penna eccellente — potete leggere il racconto scritto per Inutile qui — esperta di isole, grandi e piccine, ma soprattutto (per me) amica.
#enemiestolovers
di Marina Vuotto
Nel film The Last Black Man in San Francisco c’è una frase che riassume limpidamente il rapporto del protagonista con la sua città: “You don’t get to hate it unless you love it”. Ci ho pensato molto l’ultima volta che sono tornata a Capri, dove sono nata e cresciuta, perché per me è esattamente l’opposto.Vivere su un’isola è complicato, praticamente ed emotivamente––i chilometri di mare che ti separano dalla terraferma sono scrigno e ostacolo allo stesso tempo, una presenza inevitabile che non può non riflettersi sulla stessa psiche degli abitanti dell'isola.
Ho passato la maggior parte della mia vita a odiare quell’ostacolo, cercando di oltrepassarne i limiti in modo virtuale, immergendomi in racconti di sconosciuti lontani le cui esperienze, per quanto comuni, possedevano il fascino esotico della banalità, opposta allo sfarzo estivo di Capri e al suo innaturale letargo invernale.
In estate lavoravo con i turisti, assecondando la loro meraviglia e sentendomi ripetere quanto fossi fortunata ad essere nata in un posto del genere. Avrei voluto, ma non potevo, dir loro che tra i due il più fortunato era quello che poteva permettersi di venire in vacanza a Capri, non la persona che, a meno che non se ne fosse andata, avrebbe passato il resto della vita a servire l’altra. Avrei dato tutte le mance che ricevevo pur di vivere in un posto con un multisala e un McDonald’s, e alla fine l’ho fatto. Me ne sono andata, senza sentire il distacco da una comunità alla quale non avevo mai pensato di appartenere, e mi sono trasferita in un paese lontano e alieno.
Mi è mancato per primo il mare. Sentirlo ovunque, dalla salsedine che incrosta e spacca le pareti al suono delle onde che, nelle giornate di mare agitato, supera le scogliere scoscese e invade le strade.
Poi ho iniziato a sentire la mancanza del cielo pulito, delle notti affollate di stelle. Delle strade vuote. Dei ristoranti che ti offrono un bicchiere di limoncello dopo che hai già pagato il conto. Soprattutto, quando ero sola in una grande città, mi mancava avere un nemico comune, qualcuno con cui dire “un giorno ce ne andremo via di qui”.
Credo che questo modo di pensare, questa tensione eterna verso porti migliori, sia ciò che dell’isola mi porterò dietro ovunque vada, ricordandomi che la stessa voglia di fuggire è ciò che mi lega indissolubilmente al primo luogo da cui sono fuggita.
Adesso, quando torno, l’isola è l’unico posto in cui mi riconosco, e riesco quasi ad amarla.
Ritornata sulla terra ferma, l’estate è in chiusura. Mentre scrivo si avvicina la fine di Agosto e soprattutto il vero inizio dell’anno: Settembre. Mi spiace per gli amanti dell’afa, con l’inizio del nono mese per me è ufficialmente finita l’estate, evviva. Agosto però ha portato una cosa bella, bellissima anzi: Evangelion: 3.0+1.0 Thrice Upon a Time, l’ultimo capitolo della saga indimenticabile e meravigliosamente deprimente che è Neon Genesis Evangelion. Cosa? Credi davvero Eva parli solo di robottoni che si menano e non di depressione? Beh beatx te, sei un animo puro e ti voglio bene.
Non mi dilungo a spiegare cos’è, di che parla, perché è bellissimo: se vuoi scoprire cos’è Evangelion ti rimando a Dummy System, un podcast a cura di Eleonora Caruso e Andrea di Lecce che racconta meglio di chiunque altro l’universo della creazione di Hideaki Anno. Però ora, rivedendo alcuni screen delle scene finali (NO SPOILER), stavo pensando a quanto l’ultimo film dei rebuild di Evangelion abbia tanto il sapore della fine dell’estate: un momento che si chiude, le cicale smettono di cantare, il macigno psicologico di tutti i personaggi e di tutto l’universo eva durato decenni che si scioglie e tutto si snoda, tutto viene espiato, tutto si chiude per lasciare spazio al nuovo.
Breve salto nel tempo, siamo già a Settembre. Chiudo rapidamente questa masafuera piena di cose aggiungendone altre:
Finalmente è uscito il nuovo libro di Sally Rooney (avevo scritto di lei ormai due anni fa qui) ritorno più atteso di quello di Lorde, sperando che le aspettative non vengano tradite (come appunto con Lorde, album per me un po’ meh.) In Italia uscirà nel 2022, per ora posso solo correre a leggerlo in lingua originale, nel frattempo non posso non chiedermi:
Critiche sensate a parte, per chi bazzica nelle riflessioni di genere non è nulla di nuovo, a me stupisce sempre la veemenza con la quale Ferrante e Rooney vengano criticate: raramente criticate nel merito della loro produzione letteraria, ma sempre più spesso criticate al ribasso, dicendo e scrivendo “ci sono scrittrici migliori” dovendole mettere a confronto, sminuendole, con altre donne, o commentando che anche altri “scrittori” sono odiati (tra virgolette perché gli scrittori citati sono stati Volo o Moccia, e per me giustificare l’odio comparandole con due non scrittori/scrittori banali e commerciali è significativo). Secondo me facciamo prima a dire: “abbiamo un problema con le donne che raggiungono il successo” (osservando che comunque stiamo parlando di donne bianche, più privilegiate di altre persone, figuriamoci se appartenessero a altre minoranze).
Da leggere:
Alonso e i visionari, Anna Maria Ortese (Adelphi Edizioni): uno di quei libri che leggo d’estate perché sono sospesi
Human/ Corpi ibridi, mutanti e fluidi nell’universo del possibile, a cura di Diletta Crudeli, prefazione di Antonia Caruso (Moscabianca Edizioni): un libro che mi hanno regalato e che racchiude tutto un mondo di cose che amo
Da ascoltare:
Blue Weekend, Wolf Alice
Silk Chiffon, MUNA ft Phoebe Bridgers
Certainty, Big Thief
4x4: quattro post salvati su ig di cose belle:
Naufragare: Approdi Summer School, workshop a pagamento ma anche talk gratuite sul cinema d’autore
Thread dei queer film festival utilissimo realizzato da @s0ttovuoto
Consigli di lettura sacri di ecofemminismo, antispecismo e postumanesimo a cura di @aldo_moric
Bene, è tutto. Da questa Masafuera finalmente riprende anche il podcast, così puoi scegliere se leggere o ascoltare (come sempre avranno qualche differenza).
Ci sentiamo presto, spero? Vediamo se rimango costante.
Elisa